Elucubrazioni, recensioni, curiosità varie sui miei film, registi, romanzi e scrittori preferiti.

venerdì 23 ottobre 2020

IL VOLO DELLA FENICE (1965)

Un Fairchild C-82 Packetun aereo bimotore dalla particolare conformazione a doppia coda  e con a bordo alcuni operai di una compagnia petrolifera, precipita nel deserto libico durante un'improvvisa tempesta di sabbia. I superstiti, tra i quali il pilota, dopo aver atteso invano i soccorsi, decidono di tentare di costruire un altro velivolo "cannibalizzando" le parti disponibili dell'aereo distrutto... 

L'altra sera ho rivisto questo film di Robert Aldrich del 1965 e ne sono rimasto ancora una volta entusiasta, tanto da volerlo recensire di nuovo, in modo più completo.
Inizio subito parlando degli attori: James Stewart è immenso, in una delle sue più grandi e memorabili interpretazioni (se non la migliore in assoluto). Lui è lo scorbutico comandante Frank Towns, inizialmente apatico e impotente perché si sente in colpa per quanto è accaduto. Stewart poi era davvero un pilota e durante il secondo conflitto mondiale partecipò a numerose missioni ai comandi di B-17. Non poteva esserci scelta migliore per quel ruolo. Al suo fianco c'è il grande Richard Attenborough, il fidato navigatore che ha problemi con l'alcool (e che balbetta leggermente quando è sottopressione, almeno in lingua originale). A un certo punto, quando si scopre che l'ingegnere tedesco in realtà progetta aerei modelli radiocomandati anziché quelli veri, il suo personaggio inizia a ridere in modo isterico e folle, finendo per tramutare la risata in un pianto acuto e disperato: non ricordo di aver mai visto nessun altro attore sembrare così convincente in un contesto simile (anche se al giorno d'oggi quel tipo di scena è diventata quasi un cliché).
Passiamo a Peter Finch, un altro incredibile attore, nei panni dell'impassibile e determinato capitano britannico, e a Hardy Krüger, che interpreta il cinico e insopportabilmente orgoglioso progettista di origini tedesche che avrà l'idea di costruire un secondo aereo (The Phoenix) partendo dai rottami del primo. I due si ritroveranno, quattro anni dopo, sul set de La tenda rossa, un film che, pur raccontando una vicenda reale ambientata nel circolo polare artico, ha molto in comune con Il volo della Fenice.
Ernest Bornigne è Tucker Cobb, un operaio petrolifero con problemi psichici: anche la sua performance è da brividi e non si può fare a meno di provare compassione e tristezza per Cobb. Tutti gli altri comprimari, comunque, offrono delle prove attoriali eccellenti. Merito anche di una straordinaria sceneggiatura (tratta da un romanzo) che caratterizza ottimamente ogni singolo personaggio, mentre Robert Aldrich mette in scena in modo perfetto le tensioni e gli scontri tra i membri dello sparuto gruppo di disperati. Prendiamo, per esempio, il sergente Watson (Ronald Fraser), continuamente preso di mira dall'impettito capitano Harris (Peter Finch) che, a un certo punto, si ribella al suo superiore arrivando addirittura a desiderarne la morte. La regia di Aldrich infatti è ineccepibile sia dal punto di vista puramente tecnico ed estetico, sia nella direzione degli attori, come si è ben capito. Ian Banner, uno dei comprimari, ottenne pure una nomination all'Oscar.
I titoli di testa, che arrivano dopo ben nove minuti e mezzo, con i fermo immagine sui vari personaggi durante la scena dello schianto aereo, sono qualcosa di eccezionale per quei tempi.
Bene anche la colonna sonora composta da DeVol, dove curiosamente troviamo una cover di Senza Fine di Gino Paoli.
Semplicemente un film perfetto, un vero e proprio capolavoro, che però (inspiegabilmente) fu un clamoroso flop al botteghino.














Curiosità: durante le riprese, un pilota morì mentre era ai comandi del velivolo, assemblato davvero con pezzi di altri aerei, che doveva raffigurare quello costruito dai protagonisti del film.


Nel 2004 venne girato un remake per la regia di John Moore, con Dennis Quaid al posto di James Stewart. La pellicola ebbe lo stesso insuccesso al botteghino del capolavoro di Aldrich. Quaid e Giovanni Ribisi (nel ruolo che fu di Harry Krüger) se la cavano molto bene, ma il confronto con l'originale proprio non regge.








mercoledì 21 ottobre 2020

I TRE MOSCHETTIERI (1993) -Mini Recensione-

Ennesima trasposizione cinematografica del romanzo di Dumas, questa volta targata Disney (quindi leggermente edulcorata), datata 1993. 
Bistrattata dalla critica, in realtà non mi è mai dispiaciuta. Anzi, col senno di poi, ritengo questa una delle migliori versioni moderne de I tre moschettieri, non tanto per la sceneggiatura (non particolarmente originale), quanto per l'azzeccata scelta degli interpreti principali (anche se molto giovani, all'epoca): Kiefer Sutherland/Athos, Charlie Sheen/Aramis, Oliver Platt/Portos e Chris O'Donnel come D'Artagnan. Rebecca De Mornay è perfetta come Milady de Winter, così chi meglio di Micheal Wincott poteva interpretare lo scagnozzo del cardinale Richelieu? Quest'ultimo, poi, è perfettamente caratterizzato da Tim Curry.
C'è  anche la colonna sonora del compianto Michael Kamen, che firma il tema principale assieme a Brian Adams (che canta con Sting e Rod Stewart) e il richiamo a Robin Hood- Principe dei ladri è evidente. Vedi la presenza di Wincott e il cardinale Richelieu di Curry deliziosamente sopra le righe che ricalca un po' lo sceriffo di Notthingam di Alan Rickman.
La regia di Stephen Herek non è eccessivamente "fracassona" e il montaggio ha un buon ritmo.
Un film che andrebbe rivalutato.


VOTO: 7-







martedì 20 ottobre 2020

TORPEDO (U-235) -Mini Recensione-.

 1941. Un gruppo di improbabili partigiani belgi dovrà raggiungere gli U.S.A. a bordo di un U-Boot tedesco per consegnare un carico di uranio che servirà al progetto Manhattan...
Ci troviamo di fronte a un film di produzione belga/francese che strizza pretenziosamente l'occhio ai blockbuster americani, U-751 e Bastardi senza gloria su tutti, ma anche The Abyss di James Cameron.
Ammetto, il plot, seppur improbabile (perché devono usare proprio un U-Boot?), mi era sembrato intrigante, inoltre mi piacciono un sacco i film girati a bordo di sommergibili e/o sottomarini.
Il risultato finale però mi ha lasciato perplesso.
Tecnicamente non sarebbe male, la musica nemmeno (che comunque pare scopiazzata da qualsiasi war movie esistente), addirittura potrei anche chiudere un occhio sul mediocre doppiaggio (gli attori si sono ridoppiati in inglese) e sui personaggi stereotipati, ma purtroppo ci sono troppi anacronismi (la presenza di un bazooka nella primissima scena) e grossolani errori riguardanti le caratteristiche dei sommergibili nazisti.
Un paio di esempi: all'epoca era impossibile effettuare una battaglia sottomarina tra U-Boot come si vede nel film, poi a un certo punto dei veri marinai nazisti salgono a bordo per un controllo e NON fanno assolutamente caso al fatto che sul battello ci sono solo quatto o cinque uomini, quando invece dovrebbero esserci più di quaranta marinai.
E poi c'é la malsana idea di citare una scena di The Abyss, dove troviamo l'ennesimo anacronismo.
Peccato, perché le potenzialità per un discreto war movie c'erano tutte.

VOTO: 5--









venerdì 16 ottobre 2020

WOLF CALL -Minaccia in alto mare- Mini Recensione

 Il sottomarino francese Titan, dopo essere rientrato da una pericolosa missione nelle coste siriane, si ritroverà a dover sventare una minaccia nucleare assieme a un altro sommergibile...
Un film di produzione francese dalle grandi ambizioni (nel cast figura un efficace Mathieu Kassovitz), che strizza molto l'occhio a Caccia ad ottobre rosso e che inizialmente mi ha un po' spiazzato. Infatti, una cosa che ancora faccio fatica a digerire dei film francesi è l'adattamento e il conseguente doppiaggio italiano: forse è colpa dell'impostazione "fisica" degli attori d'oltralpe, così diversa da quella americana. Ma anche i dialoghi spesso sembrano forzati. C'è pure qualche spacconata di troppo, oltre a una regia "piattina", compensata da un buon montaggio e ottimi effetti speciali. Il terzo atto è però davvero notevole e la colonna sonora risulta abbastanza epica e coinvolgente.
A conti fatti, nonostante pure una sceneggiatura a tratti prevedibile, il film non sfigura affatto con certe produzioni americane, tant'è che vince a mani basse col quasi coevo Hunter Killer con Gerard Butler.


VOTO: 7






domenica 11 ottobre 2020

GREYHOUND (Mini Recensione)

 Atlantico, 1942. 
Tom Hanks è il capitano Ernest Krause, al comando del cacciatorpediniere Greyhound, di scorta a un convoglio di rifornimenti diretto in Inghilterra. Si ritroverà circondato e braccato da un cosiddetto "branco di lupi" composto da quattro U-boot nazisti, proprio nella zona non raggiungibile dal supporto aereo.
L'originalità di questo film, sceneggiato dallo stesso Hanks (prendendo spunto da un romanzo del 1955), sta nel fatto che mostra gli attacchi degli U-Boot dal punto di vista di uno dei cacciatorpediniere americani. La pellicola è abbastanza breve (90 minuti compresi i titoli di coda), ma intensa e avvincente.
Tom Hanks azzecca un altro grande ruolo, in un film dove praticamente è presente sullo schermo dall'inizio alla fine. Bene la regia, così come la colonna sonora (anche se scolastica), deludenti a tratti gli effetti speciali digitali.
Certo, l'immancabile confronto con il monumentale Das Boot di Wolgfang Petersen non regge, anche perché in Greyhound il nemico (i tedeschi) è cattivo e senza volto, capace di "sfottere" gli angloamericani inserendosi sulle frequenze radio alleate, per il quale non si prova nemmeno un po' di compassione.
Però il film mi è piaciuto.


VOTO: 7,5








venerdì 9 ottobre 2020

FOR ALL MANKIND (Serie TV)

Ho recuperato, quasi per caso, questa serie girata per la piattaforma Apple tv, ambientata a cavallo degli anni '60 e '70, che inizia dal presupposto che i sovietici abbiano battuto gli americani nella conquista alla Luna. Durante i dieci episodi, quindi, assistiamo a un corsa allo spazio alternativa a quella che la nostra realtà ha assistito.
La serie è notevole, molto ben fatta, dal taglio cinematografico ed effetti speciali notevoli. Le atmosfere di fine anni sessanta sono ben ricreate (per esempio quasi tutti fumano, un dettaglio non da poco, visti i tempi d'oggi. E lo dice un non fumatore) e tutto sembra molto plausibile. Oltre che mostrare molte missioni Apollo "alternative", vengono approfonditi argomenti come l'emancipazione femminile e il tabù, almeno per quegli anni, dei rapporti omosessuali. Non c'è però traccia di razzismo nei confronti delle persone di colore (abbiamo perfino la prima astronauta afroamericana), un aspetto ben poco credibile, rispetto a tutto il resto. 
Riguardo ai personaggi (che sono parecchi), sono tutti ben caratterizzati; anche quelli secondari hanno un background ben sviluppato. Alcuni riprendono dirigenti e astronauti della NASA realmente esistiti, con ruoli molto consistenti nella trama. E non sempre sono rappresentati in modo positivo.
Tra i volti noti, c'è quello di Joel Kinnaman, che di fatto è il vero protagonista dell'intera serie.
A mio modo di vedere, oltre a qualche lungaggine in un paio di episodi centrali, c'è qualche "spacconata" di troppo in alcune scene quando, durante le esplorazioni spaziali, tutto pare andare a rotoli, ma del resto bisogna pure intrattenere gli spettatori in maniera spettacolare, altrimenti non avrebbe senso una serie come questa. Non mancano però i momenti drammatici.
Ho apprezzato il fatto che, realisticamente, nello spazio profondo non si sente il rumore dei razzi (scelta coraggiosa) mentre invece c'è un'imprecisione riguardo le conversazioni radio (e video) dalla Terra alla Luna, nelle quali i due interlocutori parlano l'un l'altro come se si trovassero a pochi chilometri di distanza, senza alcun ritardo tra la domanda del primo, e la risposta del secondo.

In ogni caso, credo sia la migliore serie "sci-fi" che sia mai stata girata da molti anni a questa parte.
Consigliatissima.