Un Fairchild C-82 Packet, un aereo bimotore dalla particolare conformazione a doppia coda e con a bordo alcuni operai di una compagnia petrolifera, precipita nel deserto libico durante un'improvvisa tempesta di sabbia. I superstiti, tra i quali il pilota, dopo aver atteso invano i soccorsi, decidono di tentare di costruire un altro velivolo "cannibalizzando" le parti disponibili dell'aereo distrutto...
L'altra sera ho rivisto questo film di Robert Aldrich del 1965 e ne sono rimasto ancora una volta entusiasta, tanto da volerlo recensire di nuovo, in modo più completo.
Inizio subito parlando degli attori: James Stewart è immenso, in una delle sue più grandi e memorabili interpretazioni (se non la migliore in assoluto). Lui è lo scorbutico comandante Frank Towns, inizialmente apatico e impotente perché si sente in colpa per quanto è accaduto. Stewart poi era davvero un pilota e durante il secondo conflitto mondiale partecipò a numerose missioni ai comandi di B-17. Non poteva esserci scelta migliore per quel ruolo. Al suo fianco c'è il grande Richard Attenborough, il fidato navigatore che ha problemi con l'alcool (e che balbetta leggermente quando è sottopressione, almeno in lingua originale). A un certo punto, quando si scopre che l'ingegnere tedesco in realtà progetta aerei modelli radiocomandati anziché quelli veri, il suo personaggio inizia a ridere in modo isterico e folle, finendo per tramutare la risata in un pianto acuto e disperato: non ricordo di aver mai visto nessun altro attore sembrare così convincente in un contesto simile (anche se al giorno d'oggi quel tipo di scena è diventata quasi un cliché).
Passiamo a Peter Finch, un altro incredibile attore, nei panni dell'impassibile e determinato capitano britannico, e a Hardy Krüger, che interpreta il cinico e insopportabilmente orgoglioso progettista di origini tedesche che avrà l'idea di costruire un secondo aereo (The Phoenix) partendo dai rottami del primo. I due si ritroveranno, quattro anni dopo, sul set de La tenda rossa, un film che, pur raccontando una vicenda reale ambientata nel circolo polare artico, ha molto in comune con Il volo della Fenice.
Ernest Bornigne è Tucker Cobb, un operaio petrolifero con problemi psichici: anche la sua performance è da brividi e non si può fare a meno di provare compassione e tristezza per Cobb. Tutti gli altri comprimari, comunque, offrono delle prove attoriali eccellenti. Merito anche di una straordinaria sceneggiatura (tratta da un romanzo) che caratterizza ottimamente ogni singolo personaggio, mentre Robert Aldrich mette in scena in modo perfetto le tensioni e gli scontri tra i membri dello sparuto gruppo di disperati. Prendiamo, per esempio, il sergente Watson (Ronald Fraser), continuamente preso di mira dall'impettito capitano Harris (Peter Finch) che, a un certo punto, si ribella al suo superiore arrivando addirittura a desiderarne la morte. La regia di Aldrich infatti è ineccepibile sia dal punto di vista puramente tecnico ed estetico, sia nella direzione degli attori, come si è ben capito. Ian Banner, uno dei comprimari, ottenne pure una nomination all'Oscar.
I titoli di testa, che arrivano dopo ben nove minuti e mezzo, con i fermo immagine sui vari personaggi durante la scena dello schianto aereo, sono qualcosa di eccezionale per quei tempi.
Bene anche la colonna sonora composta da DeVol, dove curiosamente troviamo una cover di Senza Fine di Gino Paoli.
Semplicemente un film perfetto, un vero e proprio capolavoro, che però (inspiegabilmente) fu un clamoroso flop al botteghino.
Curiosità: durante le riprese, un pilota morì mentre era ai comandi del velivolo, assemblato davvero con pezzi di altri aerei, che doveva raffigurare quello costruito dai protagonisti del film.
Nel 2004 venne girato un remake per la regia di John Moore, con Dennis Quaid al posto di James Stewart. La pellicola ebbe lo stesso insuccesso al botteghino del capolavoro di Aldrich. Quaid e Giovanni Ribisi (nel ruolo che fu di Harry Krüger) se la cavano molto bene, ma il confronto con l'originale proprio non regge.